Cinema: UN FANTASTICO VIA VAI
- SdC Magnago
- 14 gen 2014
- Tempo di lettura: 3 min
Un impiegato di banca, sposato e padre di due figlie, dopo una crisi con la moglie se ne va a vivere in appartamento con alcuni universitari.
Spettacoli, GENNAIO 2014 Venerdì 17 ore 21:00 Sabato 18 ore 21:00 Domenica 19 ore 16:15 e 21:00
Biglietti: intero € 6;00 ridotto € 4,00
Undicesimo film di Leonardo Pieraccioni, regista di commedie leggere, spesso volgarotte, a volte brillanti (I laureati, Il ciclone), più spesso autore di film inconsistenti (Finalmente la felicità) o veri e propri pasticci (Io e Marilyn). Stavolta, pur dopo una partenza un po’ difficoltosa, centra uno dei suoi film migliori contrassegnato da un bel finale positivo e aperto a una speranza, da interpreti quasi tutti in parte e da volgarità meno presenti del solito. Soprattutto, si respira – a differenza di tanti suoi film banali e senza consistenza sia da un punto di vista narrativo che tematico – un’aria nuova, probabilmente anche per il contributo alla sceneggiatura dato dal bravo Paolo Genovese (regista di Immaturi e Una famiglia perfetta) e l’urgenza di dire qualcosa della vita e probabilmente anche di sé; come suggerisce il finale efficace e la canzone cantata da Pieraccioni stesso sui titoli di coda. Arnaldo è un più che quarantenne con una bella moglie (Serena Autieri), due figlie gemelle e un lavoro tranquillo come impiegato di banca. Certo, la routine è pesante: le cene a casa sempre uguali, le bambine da portare a scuola, le uscite (sempre uguali) con i colleghi. Insomma, la noia regna sovrana almeno fino a quando, per un equivoco, il nostro Arnaldo viene messo alla porta dalla moglie che sospetta un suo tradimento. L’uomo si rimette in gioco nel modo più imprevisto: cerca casa e si ritrova a condividere l’appartamento con alcuni ragazzi con un po’ di problemi alle spalle e con cui entra pian piano in rapporto. Storia semplice semplice e un po’ banale, almeno per una buona porzione di film. L’inizio è pura commedia degli equivoci giocata un po’ male (e in particolare il qui pro quo che sta alla base dell’allontanamento di Arnaldo è davvero poca cosa in termini comici e narrativi). Poi una prima svolta e si finisce, dopo una serie di colloqui a bassissimo contenuto comico, a casa dei ragazzi. E anche qui tremano le gambe. Facce pulite, bravi ragazzi: la siciliana Camilla, scappata da Catania perché incinta; la romana Anna che cerca di riannodare il rapporto con il padre (un improbabile Massimo Ceccherini nei panni di uno 007) e due ragazzi, Davide ed Edoardo, alle prese con lo studio e l’amore con Edoardo in crisi perché dovrà vedersela con il padre razzista della sua fidanzata. E lui è nero. Insomma, uno spaccato assai schematico di certa Italia che sa più di fotoromanzo o di Moccia (ci ha ricordato il suo terribile Universitari) che non di realtà vera. Poi però le cose cambiano sia dal punto di vista puramente comico con la coppia Battista e Marzocca che nei panni dei colleghi del protagonista regala dei buoni momenti, dal punto di vista narrativo e strutturale. Qua e là, nei rapporti con questi ragazzi bisognosi di affetto, indecisi su che strada prendere nella vita, si delinea anche il personaggio di Arnaldo che matura nella relazione con i più giovani, facendo più o meno consapevolmente da punto di riferimento per questi ragazzi un po’ smarriti. In questa traiettoria, in si alternano momenti più ovvi, come tutta la vicenda legata a Edoardo e al suo tentativo di farsi accettare dal futuro suocero, ad altri più originali. Particolarmente centrati sono il rapporto tra Arnaldo e le due ragazze, Anna e Camilla, che lo rilanciano inaspettatamente nella vita di coppia con la moglie: dalla prima e da una possibile storia sentimentale, Arnaldo imparerà in modo semplice e schietto che forse a quarant’anni suonati vale la pena prendere sul serio la vita e scrollarsi di dosso la sindrome da Peter Pan (che a dirla tutta è stato uno dei temi ricorrenti di tutto il cinema di Pieraccioni), dalla seconda e dalla sua vicenda con un pancione non voluto ma capitato e accolto, Arnaldo coglierà che l’avventura più grande della vita è l’imprevisto di un bel bambino. Come ricorda il finale commosso e quel tormentone che percorre tutto il film, la Santa Maria di Cristoforo Colombo che da puro elemento comico e bizzarro diventa l’elemento portante del film: metafora semplice e schietta dell’avventura più grande della vita, quella di diventare padre e madre.
Simone Fortunato fonte: sentieridelcinema.it
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