EXODUS – DEI E RE
- SdC Magnago
- 11 feb 2015
- Tempo di lettura: 6 min
PROIEZIONI:
Sabato 14 febbraio ore 21:00 Domenica 15 febbraio ore 16:30 – ore 21:00
Mosè, ebreo ma cresciuto presso il faraone, scopre le sue origini, riceve la chiamata di Dio e lotta per liberare il suo popolo dalla schiavitù…
Si è annunciata per mesi come un grande kolossal dagli eccezionali effetti speciali l’ultima fatica di Ridley Scott, dedicata al patriarca biblico già portato sullo schermo dal classico I dieci comandamenti e più di recente con notevole sensibilità nel cartoon Il principe d’Egitto di Steven Spielberg. Gli effetti speciali, dispiegati sia nel raffigurare le bibliche piaghe che nell’apertura e chiusura del Mar Rosso sono, in effetti, tra le cose migliori del film, insieme alle scene di battaglia – un altro pezzo di bravura di Scott – in perfetto stile Il gladiatore. Tutta la prima parte del film, la più convincente del resto, è una riproposizione in chiave egizia del capolavoro di Scott con Christian Bale nei panni del generale che ha l’affetto e le preferenze del vecchio sovrano poco soddisfatto del proprio figlio di sangue. Che il Mosè che incontriamo all’inizio sia, con il primo di una serie di audaci e dubbi anacronismi, un agnostico in un paese pieno di dei e superstizioni è la prima nota poco convincente della storia che procederà poi seguendo superficialmente il racconto biblico, ma rileggendolo nell’ottica di una critica al fondamentalismo che sarà pure tanto di moda, ma che con questa storia c’entra poco o niente. L’agnostico Mosè che alla moglie suggerisce di lasciare che il figlio quanto a religione decida da grande, dopo una botta in testa ha la canonica apparizione del roveto ardente. E saputo da Dio che c’è bisogno di un generale per liberare gli ebrei dalla schiavitù, abbandona la famiglia e si dà da fare, prima cercando la via della contrattazione sindacale con Ramses (“scopriamo” che prima dell’opzione esodo ci fu la richiesta di cittadinanza e giusto salario) e poi quella della guerriglia alla Che Guevara. Visti i tempi lunghi di questa strada, però, l’onnipotente opta per cavallette, rane e calamità varie, che i maghi egiziani non riescono a spiegare ma alla fine piegano il Faraone. Da questi pochi cenni si capisce la confusione teologica, oltre che drammaturgica, che regna nella pellicola: la rappresentazione umana di Dio (un bambino enigmatico, spesso capriccioso, impaziente e vendicativo) che ha offeso molti musulmani (il film è vietato oltre che in Egitto in diversi altri paesi di religione islamica) risulta più che altro talora involontariamente comica, con scene (che non anticipiamo) che paiono venire dritte dritte dal cult Brian di Nazareth e invece si prendono sempre molto sul serio. Il problema non secondario di questa pellicola, che vorrebbe raccontare la scoperta da parte del suo protagonista dell’appartenenza al “popolo della promessa” che attende la liberazione dal suo Dio, è l’assoluta mancanza di personalità riconoscibili all’infuori di Mosè stesso e del suo antagonista Ramses. A parte l’anziano saggio Nun, che rivela al patriarca la sua origine, gli ebrei restano una massa indistinta in cui ci si ricorda a stento di Aronne (praticamente senza battute) e Joshua/Giosuè solo perché ha i tratti del divo della serie Breaking Bad Aaron Paul. Anche Christian Bale nei panni del patriarca e Joel Edgerton in quelli di Ramses hanno in realtà poco su cui lavorare: così il primo si riduce spesso a una caricatura del profeta pazzo in continua contestazione del Dio di cui si fa portavoce; e il secondo si ripiega in una confusa aggressività che non assurge mai alla grandiosa negatività del Commodo de Il gladiatore. Se va riconosciuto al regista un gran senso dello spettacolo e della costruzione delle scene d’azione, questo Exodus resta, insieme a Le crociate, una delle sue operazioni più confuse e meno convincenti. In entrambi i casi l’impressione è che Ridley Scott non riesca a maneggiare un materiale di per sé ricco di potenzialità (di sicuro la storia di Mosè è, tra quelle dell’Antico Testamento, una delle più psicologicamente complesse) perché zavorrato da un pregiudizio ideologico che si mangia un po’ tutto, dalla drammaturgia alla definizione dei personaggi. Il risultato è un pasticciaccio spettacolare in alcuni punti (anche se quasi mezz’ora di piaghe un po’ stanca) ma con veramente poco di memorabile.
Laura Cotta Ramosino
fonte: sentieri del cinema.
La Critica
Un tempo chi voleva sentire musica doveva suonarsela o farsela suonare. Poi sono arrivati i sistemi di registrazione e la musica è stata alla portata di tutti. L’elettronica, poi, ha permesso a chicchessia di avere a disposizione un’intera orchestra. Non devi imparare il pentagramma e nemmeno uno strumento perché ci pensa il mouse. Così, basta che ti compri il programma computerizzato adatto e puoi esprimerti: violini, cori, arpe, percussioni eccetera. La possibilità concessa a tutti di dirigere una filarmonica ha però riazzerato le cose: se la musica non l’hai in testa, a nulla varrà la tua orchestra elettronica. Cioè, se non hai fantasia creativa, c’è poco da fare; se sei Mozart, l’orchestra non ti serve, perché saranno gli altri a suonare, e volentieri, le tue creazioni.
La stessa cosa accade per il cinema. Ormai gli effetti speciali li usano tutti, ed è andata a finire, come prevedibile, che hanno stuccato. E anche qui, se non hai la storia, è inutile ogni fantasmagoria e pure il 3D. Nel caso della trilogia del Il Signore degli anelli, per esempio, la storia l’aveva scritta –scusate se è poco- nientemeno che J.R.R.Tolkien. Gli effetti speciali computerizzati l’hanno solo resa visibile (mentre prima non lo era), il regista Peter Jackson non ha dovuto fare altro che trasporla sullo schermo così com’era stata scritta. Anzi, più è stato fedele al testo e più i tre film sono riusciti. Infatti, la valanga di Oscar ricevuti l’ha confermato. Prova del nove: la trilogia de Lo Hobbit è meno efficace, perché il regista, per allungare il brodo, ci ha messo del suo, allontanandosi dall’originale di Tolkien. Risultato, niente premi e minori entrate al botteghino. Sì, perché, ripetiamo, se la storia non “tiene”, cercare di compensare quel che manca moltiplicando gli fx finisce per essere quasi fastidioso.
Detto questo, un chiaro esempio di tutto ciò è il film Exodus. Dei e Re di Ridley Scott, già distintosi per non aver nemmeno nominato i cristiani ne Il gladiatore e per l’esaltazione di Saladino ne Le crociate. Non a caso, nel primo le scene più belle sono quelle della battaglia iniziale tra romani e germani. Cioè, la storia così com’è effettivamente andata. Nel secondo, idem: l’assedio di Gerusalemme; il resto è da buttare, perché l’ossessione del regista di mostrare i cristiani cattivi e i musulmani buoni ha creato vere e proprie falle nel soggetto (per esempio: perché Ibelin rifiuta di sposare Sibilla, di cui è pur innamorato?). Insomma, grandi cast e grandi effetti speciali ma al servizio di quel che pensa Ridley Scott. Che è il più trito politically correct. E l’ultimo film lo conferma in pieno.
Già la scelta del protagonista è opinabile: dare a Mosè la faccia di Batman quando si ha a disposizione un budget illimitato è come minimo singolare. Erano tutti impegnati gli altri attori del mondo? Boh. Tanto per dire, quando gli italiani fecero la miniserie di Sandokan scelsero un attore sconosciuto, Kabir Bedi, ma che si rivelò azzeccatissimo. La trovata di rappresentare Dio come un bambino (o era un angelo che parlava al di Lui posto?) può essere interessante se però non trasformi quello stesso bambino in un essere crudele, prepotente e capriccioso con cui Mosè si scontra più volte, finendo con l’apparire –nientemeno- più buono e umano di Dio. Il Dio giudaico-cristiano è un essere di innocenza infinita: è l’Innocenza stessa. Perciò, un bambino andava benissimo, peccato che sia diventato l’opinione che Ridley Scott ha di Dio. Anche qui, come per Il Signore degli Anelli, sarebbe bastato prendere la storia così com’è scritta e sceneggiarla. Infatti, la vicenda di Mosè è spettacolare di suo.
Lo aveva ben compreso Cecil B. De Mille, il cui I Dieci Comandamenti non a caso rimane insuperato. Charlton Heston non era affatto famoso, all’epoca, e fu scelto perché –letteralmente- aveva un naso uguale a quello del Mosè di Michelangelo. Quel regista dovette ricorrere a una piscina piena d’acqua e svuotata al rallentatore, dopo aver proiettato la scena alla rovescia, per descrivere il passaggio del Mar Rosso. Ridley Scott, invece, ha evitato come la peste la verga di Mosè che separa le acque, ha mostrato una spiaggia che, poco spettacolarmente, via via si prosciuga e infine è ricorso allo tsunami per sommergere gli egiziani.
Morale della favola, ancora oggi I Dieci Comandamenti di Cecil B. De Mille, con Charlton Heston e Yul Brinner resta il miglior film sull’argomento. Con i suoi sessant’anni e pure i suoi effetti speciali “fatti in casa”. Invece, da quando la sinistra americana si è impadronita di Hollywood, i temi “biblici” sono scesi al livello del vegetariano Noah. Però il botteghino lo sfonda sempre il vecchio Clint, che è di destra (vedi il superbo American sniper).
Rino Cammilleri.
Titolo originale:
Exodus: Gods and Kings
Nazione:
U.S.A., Regno Unito, Spagna
Anno:
2014
Genere:
Drammatico, Avventura
Durata:
142′
Regia:
Sito ufficiale:
Sito italiano:
Social network:
Cast:
Aaron Paul, Christian Bale, Sigourney Weaver, Joel Edgerton, Ben Kingsley, Indira Varma, John Turturro, Ben Mendelsohn, María Valverde, Emun Elliott, Golshifteh Farahani, Ghassan Massoud, Hiam Abbass, Dar Salim, Kevork Malikyan
Produzione:
Chernin Entertainment, Scott Free Productions, Babieka, Volcano Films
Distribuzione:
Data di uscita:
15 Gennaio 2015 (cinema)
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